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Note (Content)Il Giappone è lontano. La Cina molto meno: Marco Polo ci arriva alla fine del XIII secolo. Alessandro Magno si spinge fino all'India addirittura nel IV secolo aC. Il Giappone, terra remota, fuori dalle rotte, è raggiunto da mercanti europei solo nel XVI secolo, per chiudersi dopo appena un secolo a ogni contatto con l'esterno. Questa scelta cambia solo a fine Ottocento, ma i pochi oggetti - ceramiche, stampe, tessuti - che anche in quei secoli chiusi erano riusciti ad arrivare in Occidente avevano comunque alimentato un mito nutrito dalla distanza. Nel secondo Ottocento furono soprattutto gli impressionisti - Monet e Manet soprattutto - poi anche Whistler, Van Gogh, Gauguin, Toulouse-Lautrec a rimanere stregati dalla semplice e affascinante poesia dell'arte giapponese. Un linguaggio fatto di pochi elementi in purezza. Una tendenza a "levare" più che ad aggiungere che resta a caratterizzare quello che sarà poi percepito come uno stile. Nella moda come nel design e nella grafica, nel packaging, nella fotografia, nell'architettura delle avanguardie e sempre più anche nella cucina, nei graphic novel influenzati dai manga e nel cinema. È un innamoramento, un'infatuazione che da più di un secolo non accenna a diminuire
Note (Bibliography)Includes bibliographical references